Rapporto tra arte e razionalità, e come un artista può essere più razionale

Arte e razionalità possono convivere. Questo è vero anche per gli artisti: vediamo come.

Qui parleremo di:

Mi sono imposto di scrivere un articolo alla settimana, per dare vigore a questo nuovo progetto.

Sarebbe stato meglio (forse) passare questa domenica mattina a giocare ai videogiochi, leggere qualcosa di più semplice o guardare video di gattini.

Alla fine, ho deciso che quello lo farò dopo: è sempre tempo di video di gattini, ma c’è sempre tempo per video di gattini.

Dunque, volendo non sfigurare davanti a me stesso, mi sono trovato a dover pensare ad un qualche articolo che potesse essere abbastanza leggero e discorsivo.

Ma dato che la leggerezza non è di questo blog, cercherò di riflettere con te su di un quesito (in verità sono due) che spesso ho dovuto affrontare:

qual è il rapporto tra l’atto creativo (ossia il frutto della creatività) e la razionalità?

Come può un artista essere più razionale?

Ragione e creatività.

Si tratta, come sempre, di partire dalle definizioni; queste non possono che essere – per l’argomento che andiamo a trattare, e per il modo in cui lo faremo – del tutto soggettive.

Parlerò di ragione e sue declinazioni (razionalità, ragionamento, etc.) nel senso di percorso soggettivamente argomentato. Qualcosa del tipo:

“Andiamo dal punto A al punto B secondo quello che nel nostro foro interno (coscienza, mente, quello che vuoi) riteniamo essere ben argomentato ossia, in ultima analisi, che segue per noi una logica.”

In questo senso, è percezione comune quella che la vera dicotomia, la vera distinzione, sia quella tra logica ed ragione.

Dato che la parola logica mi fa venire in mente libri, formule matematiche e diagrammi, e forse è così anche per te, ho preferito scegliere una parola più ampia e forse meno precisa: ragione, appunto. La distinzione ci tornerà utile.

ecco a cosa penso quando si parla di logica

Ecco a cosa penso quando parliamo di “logica”

Parlerò di creatività nel senso di qualcosa di istintivo che crea qualcos’altro.

Un qualcosa dettato dall’istinto che crea qualcos’altro è, in questo senso, un’opera creativa: lo è quindi un’opera di Pollock così come un’invettiva di Sgarbi in un qualche programma tv.

Orbene, la tendenza è quella di dare alcune caratteristiche a queste due parole:

  • la ragione è qualcosa di logico, prestabilito, pensato;
  • la creatività è qualcosa di istintivo, improvviso, non ragionato.

Una sentenza, così, dovrebbe essere frutto della ragione.

L’opera dell’artista, allo stesso modo, dovrebbe essere frutto della creatività.

Tuttavia, sappiamo che non è così: non solo ci sono sentenze sbagliate in diritto (per questo abbiamo un terzo grado di giudizio presso la Corte di Cassazione, chiamata anche “Giudice di legittimità”), ma ci sono opere d’arte che non sono creative.

Infatti, quando togli la ragione ad una sentenza oppure la creatività ad un’opera d’arte, di fatto le stai snaturando: in questo secondo caso, credo che le opere più recenti di Jeff Koons o Damien Hirst escano dall’ambito artistico per entrare in qualcosa di diverso (marketing, mercato di massa, e cose così).

Ma vale anche il contrario? Ovverosia quando metti creatività nella tua opera ragionata o quando metti ragione in un’opera creativa, cosa stai facendo, le stai snaturando?

La mia opinione è che no.

L’opera ragionata dovrebbe contenere elementi di creatività. Non sto parlando, bada bene, di un qualcosa dettato dalla logica (e l’ho scritto nelle premesse): in questo specifico caso, infatti, non potrebbe esserci per definizione creatività.

Ma l’opera ragionata è qualcosa di diverso: si tratta di un percorso soggettivamente argomentato. Dunque, le mie energie sono focalizzate al raggiungimento di un obiettivo (altrimenti non avrei un percorso ma un “girare a vuoto”) mediante degli strumenti che ritengo utili a raggiungere questo scopo, se organizzati tra loro.

Prova a vedere l’opera ragionata come l’attività dello chef che si ritrova degli ingredienti e deve preparare un piatto nuovo: quello che deve fare (= un piatto nuovo) lo può fare in molti modi diversi, ma il modo migliore è (i) conoscendo gli ingredienti e le loro caratteristiche; (ii) conoscendo la relazione tra i diversi ingredienti e (iii) affidandosi alla propria esperienza quindi, in questo senso, all’istinto.

L’istinto è creatività, ma non nasce dal nulla: è frutto dell’esperienza. Ossia, delle migliaia di volte che le caratteristiche degli ingredienti sono passati per i cinque sensi dello chef, che li ha “fatti propri”. Ne ha carpito, per così dire, l’essenza, l’anima nascosta.

Ragione ed esperienza creano l’opera ragionata: il piatto dello chef.

Da qui, ora, passiamo alla fase successiva: l’opera creativa dovrebbe contenere elementi di razionalità. Credere che l’arte sia frutto di un qualcosa di estemporaneo, per così dire caduto dal cielo, scheggia impazzita di un momento creativo, è decisamente amatoriale.

Su che base lo dico? Beh, vatti a rileggere le tue poesie di quando eri adolescente, oppure i tuoi dipinti, oppure i libri che hai provato a scrivere. Anche i temi di scuola vanno bene.

Probabilmente in quel tempo pensavi che la creatività fosse proprio così: il guizzo dell’artista, quel qualcosa che sgorga dalla tua anima e senza filtri .. pum! diventa arte.

Così è stato per me; di certo così è per le migliaia di poeti, scrittori, pittori amatoriali che affollano le bacheche online e le fiere di paese.

L’idea che mi sono fatto è che ci illudiamo che l’Arte sia possibile senza sacrificio.

In questo senso, è balsamo per la nostra anima l’idea che siamo stati o non siamo stati toccati da un’entità superiore che ci ha dato, o non ci ha dato, questo dono.

La verità credo sia ben più terrena, e dura: l’artista è frutto della sua esperienza, e l’esperienza è la ragionata consapevolezza di ciò che si è fatto, e ciò che si è sbagliato.

“A dodici anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino“ (attribuita a Pablo Picasso)

In questo senso, dunque l’arte è tanto istinto quanto ragione. Ma non perché l’artista debba per forza pianificare ogni propria mossa, e valutare quasi fosse un avvocato ogni aspetto del proprio lavoro.

L’arte può e forse deve essere istintiva, ma l’istinto nasce dall’esperienza e dunque dalla ragione.

Non può esserci miglioramento in alcun aspetto, nemmeno in quello dell’arte, se non per tramite di una serie ragionata di errori e di miglioramenti.

La prima bozza di una poesia quasi certamente è terribile.

La prima versione di un brano musicale probabilmente “non suona bene”.

La differenza qualitativa la fa, appunto, il reiterato auto-valutarsi che l’artista fa.

Dunque, provo a rispondere alla prima domanda:

il rapporto tra l’atto creativo e la razionalità è omogeneo: l’istinto non nasce da nulla, ma è effetto della nostra esperienza oltre che della nostra personalità. In questo senso, l’atto creativo sarà migliore quanto migliore sarà stato il nostro percorso di auto-valutazione degli atti creativi del passato. Allo stesso modo, quando non ci affidiamo solo alla logica, ma anche al nostro istinto ed alla nostra esperienza, prendiamo decisioni migliori.

In breve: credo che siano delle illusioni tanto l’istinto creativo quanto il pensiero logico. E questo non tanto per loro, ma per noi: siamo esseri fallibili, siamo illogici anche studiando a memoria un’intera biblioteca di libri di logica. Quello che dobbiamo fare è esserne consapevoli, e migliorare giorno dopo giorno.

Come può un artista essere più razionale?

In primo luogo, come scritto sopra, prendendo consapevolezza del fatto che probabilmente il puro istinto non esiste: esiste senz’altro un ragionato percorso di autovalutazione sulle proprie esperienze, che fermenta dentro di noi e quando vuole esplode all’esterno, creando arte.

Come puoi testare questa cosa?

Pensa all’ultima opera creativa che hai realizzato, come ad esempio un dipinto oppure una poesia: riesci a spiegarla in poche parole, e semplici, come se la stessi spiegando ad un bambino?

Vedi, tutti quanti noi siamo bravi a realizzare supercazzole a posteriori, ossia: trovare oggi una spiegazione razionale alla cazzata che abbiamo fatto ieri. Qualcosa del tipo:

Quest’opera rappresenta l’epifania del nostro io interiore, è la manifestazione della nostra rabbia atavica come esseri umani davanti all’altro che è un “non-io” ed è, come tale, ingiusto.

(Ho mandato a ___ quel ___ che mi ha tagliato la strada.)

Ma riusciamo a dirla con poche parole e semplici, comprensibili a tutti?

Tendenzialmente, no. Perché se hai scritto una porcheria, probabilmente:

  • ti appellerai a grandi principi impalpabili (pace, guerra, amore, etc.)
  • farai riferimento al tuo generico passato, senza specificazione
  • userai un linguaggio difficile da comprendere, oppure tecnicismi

Tutti possiamo scrivere un romanzo di centinaia di pagine, ma pochi possono esprimere le proprie idee in modo cristallino; ed uno dei paradigmi di questi blog è che chi pensa male, agisce male.

L’esempio pratico è nella vita di ciascuno di noi: l’artista la cui arte è compresa solo da se stesso, e/o pochi intorno a lui.

Dunque, che fare?

Due sono le cose:

  • rifletti sul tuo passato
  • torna alle basi

Riflettere sul tuo passato significa riprendere le tue opere più antiche, e guardarle con gli occhi di un bambino. E non perché tu abbia bisogno di quell’innocenza, ma perché hai bisogno di quell’essenzialità che -come adulto- ti manca.

Se riesci a raggiungere la Grande Idea dietro la tua opera d’arte, avrai fatto un passo in avanti verso la parte migliore di te: avrai compreso gli errori, e saprai come rimediarvi. Ma per raggiungere la Grande Idea devi saper parlare oltre che a te stesso, agli altri: e per farlo devi farlo con pensieri semplici e chiari, utilizzando parole semplici e chiare.

L’arte per pochi non solo è un concetto inflazionato (quasi tutti pensiamo di essere speciali e/o incompresi) ma è sopratutto pericoloso: perché parla a poche persone, che nel tempo tendono ad annoiarsi, cambiare idea, o banalmente si dimenticano di te.

La semplicità non è un male, ma è ciò cui devi aspirare: solo che essa deve essere non il frutto di un banale istinto, ma il risultato di un lungo percorso che ora puoi rendere disponibile a tutti quelli che potranno percepirlo. La tua arte è come l’essenza di rosa: quintali di fiori per poche gocce di profumo intensissimo.

Per fare tutto questo devi tornare alle basi.

dai la cera, togli la cera.

Quelle cose che abbiamo sempre odiato, di cui non capivamo il senso, che non volevamo fare perché cercavamo i superpoteri.

Ecco, in ogni cosa questo è vero: nello sport, nella musica, nell’arte.

Io, fare le cose basilari l’ho sempre odiato: oggi a malincuore penso di aver sempre sbagliato.

Tornare alle basi del tuo settore significa metabolizzare metodi e tecniche e renderli parte di te stesso.

Quando questi saranno parte di te stesso, sarai per definizione un’altra persona, ma migliore, perché indirizzata verso lo scopo che stai portando avanti ossia la creazione della migliore opera. Per te, oppure in generale.

La stessa cosa capita anche nel ragionamento: non a caso, esiste il modello mentale dei principi primi (qui) che tratta esattamente di questo.

Ridurre il tutto agli elementi minimi autosufficienti ti permette non solo di chiarirti le idee, ma anche di rendere la tua opera un po’ come giocare coi Lego.

Poi, sta a te scegliere se realizzare una capanna oppure una cattedrale. Ma in ogni caso, (anche) di mattoni si tratta.

Conclusioni

La semplicità è un’arte che dobbiamo coltivare, e per farlo dobbiamo attraversare la foresta delle complessità: dentro, e fuori di noi.

In questo, ragionare come un bambino e ritornare alle basi ci aiuta a chiarirci le idee: e chi ragione bene, agisce bene.

Un caro saluto,

Giovanni

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